E’ lunedì e c’è il Coronavirus

E’ lunedì e c’è il Coronavirus

Stamattina. Lunedì. Ore 8.30. Rete cellulare: morta. Rete 3G: morta. Rete fissa (fibra ottica mille, mica pane e cipolle): morta. Ok, penso, è iniziata la settimana e c’è tutto il mondo in remoto?! Coronavirus del cavolo.

Sì beh confesso che se ci aggiungete un paio di sani sproloqui da esasperazione mattutina, vi avvicinerete di più alla frase che ho pensato.

Non siamo attrezzati. Non abbiamo infrastrutture decenti ma solo fantasmi che ci fanno credere di essere all’avanguardia penso, e intanto sento mio figlio – 16 anni, terza liceo – che sciorina improperi dalla sua stanza più o meno quanto me. Inizia la scuola, online, e anche lui ovviamente è in panne.

Cerco di chiamare, come ogni mattina, mia mamma per vedere se è viva e come sta. Ah già. Rete cellulare morta.

Va bene, ok, riavviamo tutto, reti, dispositivi, pc e magari riavviamo anche sta giornata che tanto bene non è cominciata. Dev’essere colpa mia che accendo il tg mentre prendo il caffè e mi deprimo alle notizie dei contagi, della gente isolata, del lavoro che smette di esistere e poi finisce che mi chiedo: ma ai liberi professionisti come me, ai quali il lavoro semplicemente “puff” si è volatilizzato, qualcuno ci pensa? La voglio anche io la cassa integrazione perlamiseria. Soprattutto visto che, anche se ho lavorato questo autunno, i soldi li devo ancora vedere e con questo andazzo la gente non paga perché ha paura di farlo e io se non pagano non mangio, se il lavoro viene disdetto (e, udite udite gente, io lavoro con le persone!) beh, indovinate, io non mangio…

Sì deve essere questo il motivo. Devo smetterla di guardare le notizie al mattino. Mi imbruttiscono.

Allora mentre tutto si riavvia e mio figlio si collega con la prof di italiano, decido. Scendo. Esco e vado fare un paio di commissioni.

Trovo gente che mi scansa per strada – eppure non puzzo, sono sicura –, gente che quasi non mi saluta, che non entra nei negozi se ci sono già io dentro. Ok, penso, forse anche loro hanno fatto il mio stesso errore e hanno lasciato la tv accesa troppo a lungo. O i social, o semplicemente fanno parte della schiera di cretini che scambiano prudenza con fanatismo, che scambiano coscienza civica con mancanza di civiltà. Ma giuro che se dopo questo Coronavirus del cavolo, quando tutto sarà finito, vedo qualcuno che starnutisce o tossisce senza coprirsi la bocca, che va al lavoro ammalato con la febbre pensando pure di essere un eroe, beh giuro che gli spezzo le gambine “tak-tak” (le sento già…)

Perché poi sono loro, sempre quelli che fino a ieri se ne strafregavano di me, di te, dei nostri figli a scuola, dei colleghi in ufficio, della persona seduta di fronte in treno, sono loro quelli che oggi apostrofano la gente come è successo a mio suocero: “Tu vieni dal nord, te ne devi stare a casa! Hai capito?!” E vi autorizzo a leggerlo con tono minaccioso. E il “nord” è pure una zona verde, nella fattispecie.

Che dire. E io che mi sto ingegnando a tirar fuori qualcosa dal cappello magico, che sto cercando di lavorare online, di persuadere la gente che ci si può, per ora, anche formare in streaming, che la consulenza te la posso dare anche via Skype, che non è che sono più stupida davanti alla webcam o di persona eh, no tranquillo sono sempre stupida uguale a prima.

Va beh. La mia missione di oggi, panettiere (strano ma continuo a mangiare per ora), farmacia (era una crema emolliente, tranquilli, non sono infetta), comprare un microfono decente (insoddisfacente ma come faccio ad andare ad un centro commerciale?) l’ho compiuta. Meglio se me ne torno a casa. Non vorrei abusare della sorte e incontrare un untore per strada.

Intanto domani faccio la mia prima giornata interamente online, sarà davvero impegnativa, ma mi sono attrezzata al meglio e sono certa che sarà un lavoro di qualità.

Forse anziché cedere alla psicosi di massa (gente che si picchia letteralmente per della carta igienica!?!), anziché cercare di fuggire dalle città rosse, anziché lamentarsi, anziché rincoglionirsi (questa passatemela) davanti alla televisione che dice sempre le stesse cose, potremmo iniziare a insegnare ai nostri figli fin da piccoli che non ci si mette le mani in faccia, che bisogna lavarsele spesso, che se si sta male si sta a casa anche solo per rispetto nei confronti degli altri, che il senso civico passa attraverso comportamenti civili, diffusi e reciproci… cose così, ecco… se a questo miglioramento delle maniere italiche poi potessimo aggiungere un po’ di aggiornamenti tecnologici, insegnare agli insegnanti come si condivide uno schermo in teleconferenza, migliorare le infrastrutture e capire quanto l’efficacia della comunicazione sia fondamentale di questi tempi, penso che faremmo degli altri grandi passi avanti.

Siamo limitati dal Coronavirus, ma l’impressione è che il limite maggiore sia nella nostra volontà di adattamento. Chissà, forse che, nella sfortuna, potremmo imparare qualcosa e progredire?

Un bacio – digitale, ça va sans dire…